Manifesto Comitato Democratico del 1850

Manifesto del Comitato Democratico Europeo emesso a Londra nel 1850

AI POPOLi
Le forze della Democrazia sono immense. Dio, la sua legge educatrice, le aspirazioni dei pensatori, gli istinti e i bisogni delle moltitudini, le colpe e gli errori de’suoi nemici, combattono a gara per essa. Noi conquistiamo, col moto d’una marea che s’innalza, nuovo terreno ogni giorno. Da Parigi a Vienna, da Roma a Varsavia, l’idea democratica solca il suolo europeo, dirige e connette il pensiero delle nazioni. Ogni cosa le aggiunge vigore: sviluppo progressivo dell’intelletto, intuizione rapida di po poli insorti, battaglia o martirio. È chiaro a ognuno che i tempi sono oggimai maturi per l’attuazione pratica del suo principio. Ciò che non era, sessanta anni addietro, se non antiveggenza del Genio, è in oggi follo: il fatto, che contrassegna e signoreggia tutte quante le manifestazioni dell’Epoca. La vita dell’Umanità appartiene d’ora innanzi, e checchè si tenti, alla fede che dice: libertà, associazione, pro gresso di lutti per opera di tutti. Gli avversi a noi lo intendono anch’essi: negavano ieri la nostra formola; oggi l’usurpano a farne menzogna — tentavano lacerare la nostra bandiera, ed oggi si appagano di contaminarla — s’affacendavano a confutarne gli apostoli, ed oggi avventano ad essi calunnie.
Perché dunque la Democrazia non trionfa? perché s’indugia a conquistare una condizione di cose, che sostituisca la Verità alla Menzogna, il Diritto all’Arbitrio, la Concordia all’Anarchia, il pacifico svolgimento .del comune pensiero alla tristissima necessità delle rivoluzioni violenti?
Non manca alla Democrazia se non una cosa; ma è cosa vitale e ha nome Organizzazione.
La Democrazia Europea non è costituita. Gli uomini della Democrazia sono dappertutto: il pensiero generale della Democrazia non ha intanto in Europa rappresentanza collettiva, accettata. La Democrazia porta la parola: Associazione scritta sulla bandiera; e non è, strano a dirsi, associata. Essa annunzia all’Europa una nuova vita; e non ha in sé una incarnazione regolare, efficace di siffatta vita: evangelizza la grande formola: Dio e l’Umanità: e non ha centro iniziatore, che rappresenti e diriga il moto all’intento; non un nucleo, che ponga almeno le prime basi di quell’Alleanza di Popoli, senza la quale l’Umanità non è che un nome, e che sola può vincere la Lega dei Re. Tronchi sparsi dell’albero che dovrebbe co’ vasti suoi rami dar ombra e asilo a tutto il mondo europeo, i sistemi hanno diviso e suddiviso il pensiero governatore del futuro: rotto in brani il nostro stendardo; e vivono d’una vita impotente, con centrata in una o in altra parola rapita alla nostra sintesi. Abbiamo sètte, non Chiesa: filosofie imperfette, contradittorie, non religione, non credenza collettiva, che congiunga i fedeli sotto un solo segno e ponga armonia fra i loro lavori. Siamo senza capi, senza disegno, senza parola d’ordine. Somigliamo drappelli staccati d’un grande esercito disciolto dalla vittoria. Or la vittoria spetta anch’oggi, mercé no stra, al nemico.Trionfanti dapprima su ciascun punto, i popoli, insorti l’un dopo l’altro, cadono ad uno ad uno, vinti dal concentramento delle forze avverse, salutati di plauso, come il gladiatore morente, se muoion da prodi, sprezzati sé soggiacciono senza resistere, ma quasi sempre fraintesi e sempre rapidamente obliati. Dimenticammo Varsavia: dimentichiamo oggi Roma. L’ordinamento può solo impor fine a condizione siffatta di cose. Il giorno che ci troverà tutti uniti, concordi al lavoro sotto il vigile sguardo dei migliori fra noi, degli uomini che hanno più combattuto e patito, sarà la vigilia della vittoria. Quel giorno, noi sapremo chi siamo, la nostra cifra, la nostra potenza.
A raggiunger quel giorno, ci è d’uopo superare due grandi ostacoli, distruggere due grandi errori: l’esagerazione dei diritti dell’individuo; il gretto esclusivo spirito di sistema.
Noi non siamo la Democrazia; noi non siamo la Umanità; siamo i precursori della Democrazia, l’antiguardo dell’Umanità. Chiesa militante, esercito destinato a conquistare il terreno sul quale deve in filzarsi il lavoro di tutti, la piramide sociale, noi non dobbiamo dire io: dobbiamo imparare a dir noi.
È d’uopo intendere che i diritti non sono se non conseguenze di doveri compiti; che ogni teorica è lettera morta, ogni qualvolta i nostri atti di tutti i giorni non ne traducano praticamente il principio ì che Vindividuo rappresenta innanzi tutto una missione; la libertà un mezzo d’armonizzare i nostri sforzi con quèlli dei nostri fratelli, d’assumere il
luogo nostro, senza violazione della nostra dignità personale, tra quei che combattono. Gli uomini che in conseguenza di riguardi o pretese individuali rifiutano i piccoli sacrifici, inseparabili da un ordina mento e da una disciplina qualunque, rinegano, servendo alle abitudini del passato, la fede collettiva che pur bandiscono. E del resto, schiacciati dalla forza dell’ordinamento nemico, abbandonano agli oppressori ciò che negano ai loro fratelli e alla causa per la quale giurarono.
L’esclusiva esigenza delle teorie è la negazione del dogma che professiamo. Ogni uomo che dica: io ho trovato la verità politica, e ponga l’accettazione del suo sistema a condizione d’associazione fraterna, nega il Popolo, solo interprete progressivo della legge del mondo, per non affermare che Vio.
Ogni uomo che s’assuma, col lavoro isolato del suo intelletto, comunque potente, di scoprire in oggi una risoluzione assoluta dei problemi che agitano le moltitudini, si condanna da per sé all’erorre, rinunziando a una sorgente eterna di verità, l’intuizione collettiva del Popolo in azione. La risoluzione assoluta è il segreto della vittoria. Collocati oggi sotto l’influenza dell’elemento che noi vogliamo trasformare, inevitabilmente commossi dagli istinti, dagli impulsi ostili della battaglia, fra la persecuzione e lo spettacolo d’egoismo offertoci da una società fattizia, edificata sul culto degli interessi materiali e guasta nelle migliori tendenze, noi mal possiamo afferrare quanto è più sacro, più vasto, più energico nell’aspirazione che vive e freme nel core dei popoli. Attinti, nella solitudine del gabinetto, all’insegnamento della tradizione e diseredati della potenza che sgorga dal sentimento delle condizioni presenti, i nostri sistemi non sono in parte che anatomia su cadaveri, capace di scoprire il male, d’analizzare la morte, ma non d’afferrare e d’intendere la legge della vita. Vita è il popolo commosso: vita è l’istinto delle moltitudini, innalzato dal contatto, dal fremito profetico di grandi cose vicine a compiersi, dall’associazione, spontanea, subita, elettrica della pubblica piazza, a una potenza eccezionale di moto: vita è l’Azione che sovr’eccita tutte le facoltà di speranza, di sacrificio, d’entusiasmo e d’amore in oggi sopite e rivela l’uomo nell’unità della sua natura, nella pienezza delle sue forze. La stretta di mano d’un operaio, in uno di quei momenti storici che iniziano un’Epoca, c’insegnerà più forse sull’ordinamento dell’avvenire, che non oggi il freddo sconfortato lavoro dell’intelletto o la scienza dei grandi pensatóri di venti secoli addietro.
Dobbiam noi dunque procedere innanzi senza bandiera? o dobbiamo scrivere sulla nostra bandiera una. semplice negazione? Sospetto simile non può formarsi su noi. Nati di popolo e combattenti da lungo nelle battaglie del popolo, noi non possiamo tendere a sospingerlo verso il vuoto. Noi procediamo all’applicazione dei principii d’eguaglianza e d’associazione su questa terra. Ogni rivoluzione non compita da tutti e per tutti, è ” menzogna per noi.
Ogni mutamento politico, che non tenda a trasformare il mezzo, l’elemento in cui vivono gl’individui, falsa radicalmente la tendenza educatrice che può sola farlo legittimo. Ma, quando sia certo il punto d’onde moviamo, certo il punto a cui dobbiam giungere, il fine, dovremo noi sospender la mossa, la sciare a pericolo le già fatte conquiste, concedere al nemico di rapirci a uno a uno i nostri diritti, per ciò solo che non siamo tutti concordi intorno ai mezzi che possono raggiunger l’intento ? Poco importa s’oggi non possiamo indicare minutamente alle Nazioni i particolari della mossa o quei dell’edilìzio che le accoglierà; molto importa che innoltrino senza posa sulle libere vie del progresso. Noi non dobbiamo sottometterci a perdere, s’anche non abbiamo finora esplorato tutto quanto il terreno da conquistarsi, il frutto che ha costato sangue di forti e pianto di madri.
E sarebbe a un tempo delitto e follia. A fronte d’una nazione che si fortifica a ogni istante e per ogni dove, tra i patimenti dei popoli e l’insolentir dei padroni, sotto il. peso della vergogna che segue ogni violazione del diritto sistematicamente subita, il dovere di tutti coloro, che han dato il loro nome alla bandiera del progresso nel Vero, è in oggi quello d’accertare il terreno conquistato dall’Umanità e le tendenze generali che contrassegnano l’Epoca, per ordinarci, sceglierci capi, e innoltrare concordemente rovesciando gli ostacoli e schiudendo quanto più rapidamente è possibile al Popolo, solo onnipotente a tradurre in atti il pensiero, la^ strada all’intento.
Giova che i pensatori proseguano con insistenza e coscienza nelle loro ricerche e nel loro apostolato a prò delle idee sociali ed economiche per essi intravvedute: i popoli emancipati sapranno giudicare e scegliere; ma nessuno s’allontani dal campo ove debbono riunirsi tutti i suoi fratelli; nessuno sottragga la parte d’attività che gli spetta al compi mento della missione comune: nessuno diserti la rivoluzione per la filosofia, l’azione pel puro pensiero, la democrazia per un sistema democratico qualunque siasi. L’uomo è uno. Il pensiero e l’azione devono in esso indissolubilmente congiungersi. E sul finire della giornata, ciascun di noi deve potere, senza arrossire, chiedere a sé stesso, non già : che cosa hai pensato? ma: «che cosa hai fatto oggi per la santa causa del Vero e dell’eterna Giustizia?»
Esiste il terreno comune di che parliamo?
Esiste. Noi non possiamo aver combattuto per tutto un secolo sotto la bandiera del Progresso intravveduto come legge di vita all’Umanità senz’aver conquistalo una serie di verità sufficienti a stabilire per noi tutti un segno di comune, un battesimo di fratellanza, una base d’ordinamento. Noi crediamo tutti nello sviluppo progressivo delle facoltà e delle forze umane verso la legge morale che Dio decretava. Crediamo nell’associazione come nell’unico mezzo normale che abbiamo a raggiungere quell’intento. Crediamo che l’interpretazione della legge morale e la norma del progresso mal s’affidano ad una casta o a un solo individuo, e che migliore interprete è il Popolo, illuminato dall’educazione nazionale, diretto dai pochi che la virtù e il genio gli additano educatrici. Crediamo all’individuo e alla società, ambi sacri e destinati, non a cancellarsi o combattersi l’un l’altro, ma ad armonizzare verso l’intento, miglioramento di tutti per opera di tutti. Crediamo della libertà, senza la quale ogni responsabilità umana svanisce ; nell’eguaglianza senza le quale la libertà non è se non illusione ; nella fratellanza senza la quale la libertà e l’eguaglianza non sono che mezzi senza fine; nell’associazione senza la quale la fratellanza sarebbe programma ideale e non attuabile ; nella famiglia, nella città, nella Patria come in altrettante sfere progressive nelle quali l’uomo deve successivamente educarsi alla conoscenza dalla pratica della libertà, dell’eguaglianza,della fratellanza, dell’associazione. Crediamo nella santità del Lavoro ; nella sua inviolabilità ; nella proprietà che ne deriva come in segno e frutto del lavoro compito; nel dovere per la Società di somministrare l’elemento del lavoro materiale, coi credito, l’elemento del lavoro intellettuale e morale coll’educazione ; nel dovere per l’individuo di adoprare quell’elemento quanto con cedono le sue facoltà e pel miglioramento comune. Crediamo, ricapitolando, in un’ ordinamento sociale che avrà Dio e la sua legge al vertice, il Popolo,l’universalità dei cittadini, liberi ed eguali, alla base, il Progresso a norma, l’associazione a mezzo, il sagrificio a battesimo, il Genio e la Virtù a consiglieri nella via da corrersi.
E crediamo vero per tutti i popoli quanto crediamo vero per un solo popolo. Non esiste che un sole nel cielo per tutta la terra ; non esiste che una legge di verità e di giustizia per tutti quei che la popolano. Come crediamo nella Libertà, nell’Eguaglianza, nella Fratellanza, nell’Associazione per gl’individui componenti lo stato, crediamo nella libertà, nell’Eguaglianza, nella Fratellanza, nell’Associazione delle Nazioni. I popoli sono gli individui dell’Umanità. La Nazionalità è il segno della loro individualità e mallevadoria della loro libertà. È sacra. Indicata a un tempo dalla tra dizione, dalla lingua, dai segni d’una altitudine o missione speciale, essa deve mettersi in armonia coll’insieme e operare pel miglioramento di tutti, pel Progresso dell’Umanità. La carta e l’ordinamento d’Europa devono rifarsi secondo questi principii. I nostri lavori tendono tutti alla formazione d’un nuovo Pallo, a raccogliere quando che sia un Congresso d’uomini rappresentanti tutte le nazionalità accettate e riconosciute, incaricati di stringere la Santa Alleanza dei Popoli e definire i diritti e i doveri comuni. Noi crediamo insomma in un ordinamento generale, che porrà Dio e la sua legge al suo vertice, l’Umanità, l’universalità delle nazioni, libere ed eguali, alla base, il progresso comune ad intento, l’alleanza a mezzo, l’esempio dei popoli più potenti d’amore e di sagrificio a sprone e conforto sulla via da corrersi.
È tra noi un soľuomo ragionevole che possa contrastare la verità di siffatti principii? È tra noi un sol’ uomo dotato di spirito tanto esclusivo da non ammettere che questo insieme di verità teoricamente conquistate basta a costituire un programma, nel quale, serbando intatto ogni diritto d’indipendenza quanto alla elaborazione dei problemi speciali, noi possiam tutti congiungerci, ordinarci e lavorare concordi ed attivi alla loro applicazione pratica, all’emancipazione del popolo e dei Popoli?
Non dobbiamo oggi dire quale potrebb’essere l’ordinamento positivo da scegliersi.
Ci basta per ora dichiararlo urgente e possibile. Non è questo nostro un programma: è un grido cacciato a tutti i buoni che dividono la nostra fede –a tutti i popoli che tendono a farsi nazioni – a quanti pensano che ogni divorzio, e sia pur passeggiero, tra il pensiero e l’azione è fatale a quanti sentono fremere nell’anima loro un santo sdegno contro la forza brutale posta in Europa a servizio della tirannide e della menzogna. Ad essi tutti noi diciamo : accorrete; unitevi a noi. Sagrificate al grande in tento ogni secondario dissenso, e serratevi sul terreno che or v’indicammo. Noi vogliamo costituire la Democrazia europea; fondare il tesoro, la Cassa dei popoli:
ordinare l’esercito degli iniziatori. I popoli emancipati compiranno il lavoro. Noi siam’ oggi, per essi e nel nome loro, sulla breccia. Stringiamo le desire e pensiamo a combattere!
Londra, luglio 1850.
Pel Comitato Centrale della Democrazia Europea
Gius. MAZZINI.
LEDRU – ROLLIN.
ARNOLDO Ruge.
DARASZ.

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